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VALERIA FANCIULLO

Memorie di un istante

 

Sono vivo – sono questo momento; il mio futuro è qui e ora, perché se non sono in grado di reggere l’oggi quando e dove potrà mai essermi possibile?

(Soen Ozeki)

 

Tutto è passeggero, tutto muta, niente è eterno, anche quello che ci pare essere immobile. La permanenza è un'illusione, e l'accettazione di questa verità - o meglio, la sua costante percezione - permette uno sguardo sereno sul fluire delle cose. L’impermanenza è maestra di distacco e sottolinea la transitorietà dei fenomeni, è un lavoro di presenza al nostro sentire, alla verità della nostra incarnazione. Nella coltivazione della nostra apertura risonante, è un immergerci nell’essere vero delle cose, nel suo flusso e nel nostro splendore: sei nel sentire, sei nella tua presenza. Un fluire e un dispiegarsi abbandonato alla realtà, sciolti in essa. È un’esperienza di non sforzo: non sei più nella volontà, ma nel lasciar essere. Ci si comprende allora non più padroni della propria verità, ma immersi nel suo manifestarsi. È una pratica di letizia nel sentirci scaturire da questa dimensione di cedevolezza rispetto a ciò che è dentro di noi. La distanza fra te e l’adesso si colma: è divenire spazio, dove ciò che accade si realizzi. È la via opposta al resistere, al chiudersi, alla guardia alzata, alla difesa: è invece il varco per l’apertura, per il disarmo, la docilità, l’arrendevolezza, il vuoto, la vita. Da questa porta c’è la grande possibilità. 

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L’impermanenza, maestra di distacco che sottolinea la transitorietà dei fenomeni è qui vista come pratica di gioia, come varco di apertura all’arrendevolezza, alla vita, alla possibilità.

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